28 marzo 1997, Livorno
- Alberto Eugenio Liboni

- 28 mar 2023
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Eccomi davanti la scuola materna. È un brutto edificio a mattoni faccia-
vista, con gli angoli scartocciati. Davanti, sulla strada, uno spiazzo dove le
macchine potevano parcheggiare e lasciare la mandria di bestiole umane
nelle mani di maestre dai capelli cotonati e ricci. Castani, per lo più. Una
volta dentro il cancello, prima di entrare nell’edificio, c’è da camminare un
bel po’, percorrendo una lunga facciata bucherellata da finestre con gli
infissi blu. Tutti questi dettagli appartengono alla mia memoria, e forse
sono solamente un gioco di bugie e menzogne che mi sono raccontato
negli anni e che adesso mi ritrovo a percorrere, a osservare dall’alto come
un gabbiamo sopra il peschereccio. Una volta entrato, se ripercorro
all’indietro quel tratto di edificio bucherellato dalle finestre, che non è altro
che un corridoio, arrivo a una stanza che ha una piccola finestrella che
dava, per l’appunto, allo spiazzo esterno dove le macchine dei genitori
lasciano i propri figli a scuola.
Eccomi io che correndo come un forsennato, provo a raggiungere quella
finestrella prima che la multipla rossa dei miei genitori riparta, per un
ultimo saluto in lacrime dopo essere stato abbandonato nelle grinfie delle
maestre dai capelli cotonati. Castani per lo più. Odio la scuola. Odio il mio
gruppo, le ciliegie. Preferisco di gran lunga quello delle arance, ovviamente
dove è stato messo mio fratello. Capisco che è una mera questione
anagrafica: classe 1992, arance; classe 1993, ciliegie, ma io, come avrei
fatto per il resto della mia vita – me ne sto accorgendo adesso che forse
partì tutto da là


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